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Roma, Camera dei deputati, 15 maggio 2007
NORME IN MATERIA DI CONFLITTI DI INTERESSI
DEI TITOLARI DI CARICHE DI GOVERNO

Intervento di Marco Boato in discussione generale della proposta di legge Franceschini ed altri:
«Norme in materia di conflitti di interessi dei titolari di cariche di Governo.
Delega al Governo per l'emanazione di norme in materia di conflitti di interessi
di amministratori locali, dei presidenti di regione e dei membri delle giunte regionali»
Stenografico in corso di seduta di martedì 15 maggio 2007

MARCO BOATO. Signor Presidente, credo che la seduta odierna - oggi è il 15 maggio 2007 - sia di grande importanza, proprio perché stiamo avviando, con un dibattito molto ampio e di grande complessità, la delicata materia di una nuova normazione concernente il conflitto di interessi. A questo riguardo, vorrei ringraziare il Governo per l'attenzione e l'interlocuzione che ha sempre avuto con il nostro lavoro, anche con l'intervento del suo rappresentante di questa mattina, e un ringraziamento del tutto particolare va al Presidente della I Commissione, Affari costituzionali, che su questa delicatissima materia ha svolto e svolge, anche egregiamente, il ruolo di relatore. Poiché non ho molto tempo a disposizione, per quanto riguarda l'illustrazione delle caratteristiche e delle peculiarità delle norme introdotte con questa proposta di legge, mi rifaccio integralmente sia alla relazione scritta, già stampata, sia alla relazione orale che il presidente Violante ha svolto questa mattina, all'inizio dei nostri lavori.

Il problema del conflitto di interessi è un tema che attraversa in particolare, come è già stato detto da molti, le ultime quattro legislature. Sotto questo profilo, il sistema politico e istituzionale italiano continua a costituire - nel suo insieme, non soltanto per una questione specifica - una grande anomalia nel panorama delle democrazie occidentali. La mancanza di una legge rigorosa e incisiva sul conflitto di interessi - quella vigente non lo è - riguarda non soltanto le cariche di governo dello Stato, ma anche le cariche di governo nelle regioni, nelle province e nei comuni oltre una certa dimensione.

La cosiddetta legge Frattini della scorsa legislatura, approvata dalla maggioranza di centrodestra, è in effetti risultata totalmente inadeguata e inefficace. Nella XIII legislatura, a maggioranza di centrosinistra - una lezione di stile che venne data allora - fu nominato relatore lo stesso Frattini e il testo varato dalla I Commissione venne approvato dalla Camera a larga maggioranza. Quel testo, tuttavia, si arenò al Senato, anche per responsabilità - è bene ricordarlo - di alcuni settori del centrosinistra. Fu un caso esemplare in cui il «meglio» presunto si è dimostrato, purtroppo, nemico del bene: il bene era il testo già approvato dalla Camera. Per i cinque anni successivi ci siamo sentiti rinfacciare questa mancata approvazione, di cui, però, in questo ramo del Parlamento, obiettivamente, non avevamo diretta responsabilità.

Basti inoltre pensare che nella scorsa legislatura presentai, quali emendamenti al testo del centrodestra, presentato dall'allora ministro Frattini, tutti gli articoli del testo Frattini della XIII legislatura. Ebbene, tutti quegli emendamenti furono inesorabilmente respinti e bocciati dalla maggioranza di centrodestra, che li ritenne troppo incisivi e penetranti. Dunque, fu un paradosso: la legge Frattini della XIV legislatura nacque sulle ceneri disconosciute della proposta di legge, relatore Frattini, della XIII legislatura. Miracoli del passaggio dello stesso deputato dall'opposizione alla maggioranza ed al Governo! Ma tutto questo resta documentato negli atti parlamentari.

La proposta di legge oggi al nostro esame arriva in Assemblea dopo otto mesi di esame in sede referente da parte della I Commissione, Affari costituzionali. Chi da destra parla e ha parlato, anche in questi giorni, di indebita e incomprensibile accelerazione, rasenta, francamente, il senso del ridicolo.

Ma anche chi da sinistra ha parlato di «questione abbandonata» rispetto agli impegni elettorali, evidentemente si è dimenticato di leggere gli atti parlamentari di questi otto mesi.

In realtà, la proposta di legge sul conflitto di interessi è stata presentata già il 7 luglio 2006. Essa, a prima firma Franceschini, venne sottoscritta da tutti i gruppi dell'Unione, è bene ricordarlo in quest'aula: essa reca quali firmatari i colleghi Franceschini, Migliore, Donadi, Villetti, Bonelli, Sgobio, Fabris, Brugger, Sereni, Bressa, Zaccaria, Mascia, Belisario, Angelo Piazza, Boato, Licandro, Adenti e Zeller. Tutti i gruppi dell'Unione, quindi, e anche alleati dell'Unione come le minoranze linguistiche l'hanno condivisa, e nessun'altra proposta di legge è stata presentata, né da parte dei deputati del centrosinistra né da parte, a maggior ragione, dei deputati del centrodestra: è uno dei pochissimi casi di un tema di enorme rilevanza che vede al nostro esame un unico testo di proposta di legge. Alcuni esponenti del centrodestra avevano minacciosamente - non si tratta di una minaccia, sarebbe fisiologia parlamentare - annunciato nelle settimane e nei giorni scorsi la presentazione di un testo alternativo: l'esame in sede referente si è concluso senza che tale testo alternativo venisse presentato.

L'esame in Assemblea comincia dopo meno di un anno dall'insediamento del Governo Prodi. Da parte di alcuni colleghi del centrosinistra si considera - l'abbiamo ascoltato in quest'aula - un limite della proposta di legge in esame il fatto che essa non preveda ipotesi di ineleggibilità (Commenti del deputato Del Bue)... Scusa, Del Bue, io ti ho ascoltato senza disturbarti!

A tale riguardo, del tutto pacatamente e serenamente, credo che sia utile ricordare, però, quattro questioni.

In primo luogo, nella proposta di legge Franceschini, come ho già ricordato, firmata da tutti i presidenti di gruppo dell'Unione, si parla di «Disposizioni in materia di incompatibilità», e non di ineleggibilità. Si parla di ciò fin dal titolo e poi lo si prevede esplicitamente nel secondo articolo.

In secondo luogo, nel programma dell'Unione, che è stato firmato da tutti segretari di partito della coalizione di maggioranza, e con cui la coalizione di Romano Prodi si è presentata agli elettori, non si prevede di affrontare il conflitto di interessi attraverso ipotesi di ineleggibilità. Anche in questo caso è opportuno leggere alcuni passi. Leggo da pagina 19 del programma de L'Unione, presentato da Romano Prodi e, lo ripeto, sottoscritto da tutti i segretari dei partiti politici che vi hanno aderito: «Dobbiamo colmare una profonda lacuna, adeguando l'ordinamento italiano a quello di altre grandi democrazie occidentali attraverso un modello di provata efficacia e di sicuro equilibrio, che mira a prevenire l'insorgere di conflitti di interesse tra incarichi istituzionali, sia nazionali sia locali, e l'esercizio diretto di attività professionali, imprenditoriali o il possesso di attività patrimoniali che possano confliggere con le funzioni di Governo. Gli strumenti» dice sempre il programma «che utilizzeremo sono la revisione del regime delle incompatibilità, l'istituzione di una apposita Autorità garante, l'obbligo di conferire le attività patrimoniali a un blind trust». Mi pare esattamente ciò che stiamo facendo con la proposta di legge in esame. Un programma non è soltanto un «pezzo di carta», perché con la nuova legge elettorale, esso viene oltretutto depositato all'atto di presentazione delle candidature collegate nelle coalizioni, quindi ha una sua rilevanza anche di carattere istituzionale.

In terzo luogo, la questione della ineleggibilità riguarda la rappresentanza politica, la rappresentanza in Parlamento, nei consigli regionali, provinciali e comunali, mentre la questione del conflitto di interessi riguarda, come abbiamo detto e ripetuto, le cariche e le responsabilità di Governo, sia a livello nazionale, sia a livello locale.

In quarto, e ultimo, luogo, voglio rilevare che esiste, a tale riguardo, una consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale che tende a privilegiare l'istituto della incompatibilità rispetto a quello della ineleggibilità, perché quest'ultima, che esiste come istituto, comprime i diritti politici costituzionalmente garantiti, e quindi bisogna limitarla soltanto a casi assolutamente eccezionali. Comunque - ripeto - stiamo parlando di rappresentanza e non di cariche di Governo.

La proposta di legge al nostro esame, quindi - mi pare - è pienamente rispettosa del dettato costituzionale e con esso coerente: essa colma una lacuna davvero enorme nel nostro sistema istituzionale. Non a caso, del resto, nel corso dell'esame in sede referente in Commissione, siamo partiti non solo dall'ascolto di numerosissimi esponenti della dottrina di tutti gli orientamenti culturali - in quest'aula, ovviamente, ho sentito citarne soltanto alcuni e del tutto parzialmente - ma anche dei Presidenti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà, e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Corrado Calabrò. Proprio la segnalazione, anche in base alle loro relazioni semestrali, dei limiti e delle carenze della disciplina attuale in materia, la cosiddetta «legge Frattini», è stata uno degli elementi di stimolo per affrontare i molti aspetti e le innovazioni legislative proposte dal relatore Violante e dalla I Commissione.

Suggerisco, inoltre, di leggere con attenzione la proposta di legge al nostro esame - anche se questo testo ha una diversa rilevanza - alla luce delle osservazioni critiche sulla legge Frattini contenute nelle conclusioni del parere n. 309/2004 (datato Strasburgo, 13 giugno 2005) della cosiddetta «Commissione di Venezia», cioè la Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (che aveva ricevuto il mandato ad esprimersi sulla legge Gasparri e sulla legge Frattini da parte dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa). Anche in questo caso, credo che sia opportuna una breve citazione. Al punto 24 delle conclusioni, il parere recita, riguardo alla legge Frattini: «La Commissione ritiene che il fatto di dedicarsi alla politica sia una libera scelta di ciascun individuo. Comporta certe prerogative e certi doveri. Una carica governativa determina un certo numero di incompatibilità e di limiti. Purché siano ragionevoli, chiari, prevedibili e non compromettano la possibilità stessa di accesso ad una carica pubblica, ogni individuo è libero di decidere se accettarli a meno. La semplice possibilità di subire una perdita finanziaria non dovrebbe, di per sé, essere una ragione per escludere un'attività dall'elenco delle cariche incompatibili con una funzione di governo». Questo è il testo del parere che la Commissione di Venezia ha espresso nel 2005.

È importante, dunque, che la proposta di legge al nostro esame preveda - com'era del resto nel testo originario, ma in questo caso la formulazione è diversa e, a mio parere, più puntuale e precisa - anche l'istituzione di un'apposita Autorità per la prevenzione dei conflitti di interessi e delle forme di illecito all'interno della pubblica amministrazione, assorbendo fra l'altro anche i compiti dell'Alto Commissario contro la corruzione.

Ho sentito in proposito parole scandalizzate e scandalistiche: «Un'autorità che pagherà lo Stato!». Immagino che un'autorità sia pagata dallo Stato. «Un'autorità che pagheranno i contribuenti...!»: immagino che, quando vi è un servizio pubblico di altissimo livello com'è questo, esso richieda una copertura finanziaria pubblica. Ma i colleghi che si sono scandalizzati, forse, non si sono accorti che - sia pure con caratteristiche a volte diverse, attinenti anche alla questione etica che, invece, non affrontiamo, poiché, com'è giusto nella logica di uno stato di diritto, ci basiamo esclusivamente sul riferimento a norme - autorità di questo tipo esistono anche nei paesi anglosassoni: ad esempio in quegli Stati Uniti d'America che, a fasi alterne, un giorno si invocano come esempio, anche con una certa sudditanza, ed un altro giorno si rigettano come situazione totalmente altra ed estranea al nostro ordinamento, a seconda di ciò che fa comodo.

A me pare che sia del tutto pretestuoso proporre, come fa una parte del centrodestra (o tutto: lo vedremo alla luce degli emendamenti presentati), in alternativa all'autorità addirittura - udite udite! - una commissione parlamentare. In questo modo, la maggioranza parlamentare avrebbe la responsabilità, attraverso la commissione, in cui sarebbe ovviamente in maggioranza, di controllare il conflitto di interessi del proprio Governo, che risponde alla propria maggioranza. Si tratterebbe di un pasticcio istituzionale assolutamente impresentabile, che annullerebbe qualunque ipotesi di terzietà, di autonomia e di indipendenza: tutti requisiti assolutamente fondamentali in questo ambito e per questa delicatissima funzione.

Come già ricordato da altri colleghi, qualcuno si è scandalizzato poco fa per il fatto che il collega Violante abbia detto che vi potranno essere emendamenti e correzioni, ma ciò fa assolutamente parte della fisiologia parlamentare: non ho mai visto un testo, fra l'altro complesso come questo, arrivare in un'aula del Parlamento e non essere sottoposto, come è ovvio che accada, ad alcuna correzione o modifica attraverso il dibattito parlamentare, che non è una mera registrazione meccanica del lavoro svolto in Commissione, pur preziosissimo.

Quindi, come è ovvio e del tutto fisiologico, la proposta di legge in discussione - nei prossimi giorni o nelle prossime settimane, a seconda del calendario dei lavori - potrà essere migliorata e perfezionata nel corso dell'esame parlamentare.
Trovo francamente sconcertanti le parole ascoltate nel primo intervento di questa mattina in aula, che cito dal momento che il collega Bruno è stato presidente della Commissione Affari costituzionali nella scorsa legislatura: ho sentito parlare di «percorso schizofrenico e intimidatorio» e, ancora, di «un cammino tortuoso, difficoltoso e incomprensibile» il quale, addirittura, «offende i più elementari principi costituzionali» (ho preso appunti mentre ascoltavo, pertanto credo di aver fatto citazioni testuali).

Sinceramente, con tutto il rispetto per il collega Bruno, questo non è un linguaggio accettabile e ha francamente anche un vago sapore - questo sì - intimidatorio, nei confronti del Parlamento.

Mi auguro che, anche da parte di tutte le forze politiche del centrosinistra, vi sia il senso di responsabilità di riconoscere la positività del risultato raggiunto con il testo varato dalla I Commissione e oggi al nostro esame, senza ripetere l'errore già ricordato, commesso nella XIII legislatura: errare humanum est, perseverare diabolicum.

Oggi abbiamo al nostro esame un testo equilibrato, rigoroso ed efficace, per il quale dobbiamo riconoscere il buon lavoro compiuto - l'ho già detto - sia dal relatore Violante, sia dall'insieme della I Commissione Affari costituzionali, che, attraverso un dibattito e un confronto parlamentare assolutamente aperto, vogliamo, però, ora portare responsabilmente a compimento (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi, L'Ulivo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea - Congratulazioni).

 

  Marco Boato

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